RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA LETTERA DI UNA MAMMA

Mi chiamo Cinzia Boselli, vivo ad Alghero e sono una ex madre vittima di una Sentenza Scandalosa.

Ho scritto “vivo” ad Alghero ma in realtà avrei dovuto scrivere “sopravvivo “ perché è questa la condizione di vita riservata alle madri costrette a sopravvivere ai propri figli.

Quando ci viene a mancare un marito si è vedove, quando perdiamo i genitori prematuramente siamo orfane ma se perdiamo i nostri figli cosa siamo? Non è mai stato coniato alcun termine per definire un così devastante lutto.

Personalmente mi definisco una mutilata perché è cosi che ci si sente quando, di colpo, ti viene violentemente strappata via una parte vitale di te.

Nel giugno del 2009 ho perso la mia unica figlia a seguito di un incidente stradale.

Anche lei, purtroppo, è una delle tante (troppe) vittime della strada. Aveva 27 anni.

Con un dolore cosi immenso non si desidera più vivere, ma dovevo farlo, farmi forza e tenere duro per farle giustizia, l’unico pensiero che mi ha dato la forza di andare avanti, l’unica cosa che potevo fare ancora per lei… l’ultima.

Ma purtroppo non ci sono riuscita a causa di una sentenza iniqua e scandalosa, una sentenza che grida vendetta a Dio.

Sono d’accordo con chi sostiene che bisogna riformare il sistema giudiziario, alcune leggi andrebbero fatte e altre ci sono ma i Magistrati le applicano quando pare a loro; con o senza prove, condannano e assolvono a loro insindacabile giudizio. Il reato di omicidio è considerato meno grave del reato di appropriazione indebita o di diffamazione e quindi chi ruba o diffama è maggiormente perseguito e fa più galera di chi uccide. Possibile che la vita umana valga così poco per la “legge” italiana?

Mia figlia, Debora, non è stata investita da un ubriaco alla guida di un auto, ha perso la vita a causa di un cantiere stradale presente lungo la strada che stava percorrendo con la sua moto. Il cantiere era privo delle segnalazioni previste dalla legge. Stavano costruendo una pista ciclabile rialzata.

Conoscevo bene quella strada perché abitavo in quella zona. Una strada di campagna molto trafficata, nella periferia di Alghero.

Poco prima avevo fatto lo stesso percorso. Era domenica, non c’erano operai lungo la carreggiata, quel marciapiede in costruzione, dello stesso colore chiaro dell’asfalto, non si distingueva bene, sopratutto nelle giornate molto soleggiate, (non era delimitato da coni colorati o dalle classiche reti di plastica rosse ecc.), ed essendo una stradina piuttosto stretta, ogni volta che si incrociava un altro mezzo proveniente dal senso opposto di marcia si era costretti ad accostare il più possibile verso destra per evitare il contatto tra le vetture. Alcuni, infatti, avevano già rovinato la carrozzeria della propria auto urtando il cordolo della “pista ciclabile” alto più di 23 cm.

Sicuramente anche mia figlia quel giorno, vedendo davanti a lei la Peugeot bianca arrivare, come tutti, per istinto ha accostato sulla destra verso il cordolo della pista ciclabile in costruzione, e molto probabilmente, non essendo delimitato, non si è accorta, forse anche a causa del casco, di essersi avvicinata troppo. Di fatto urtò il cordolo e perse il controllo della moto andando poi a sbattere con il viso contro lo spigolo di un lastrone di cemento armato che si trovava sul marciapiede della pista, messo dalla ditta per coprire temporaneamente il tombino esistente.

L’impatto con quel lastrone le è stato fatale.

Era un cantiere aperto. Le uniche segnalazioni presenti erano un cartello all’inizio della strada con il limite di 30 km/h per lavori in corso e un altro paio lungo i 6 km di lavorazione (rovesciati).

Da premettere che la realizzazione della suddetta pista ciclabile fu contestata fin da subito dai cittadini algheresi residenti, e non, nella zona, perché, trattandosi di una stradina già molto stretta e poco sicura, la presenza di una pista ciclabile avrebbe reso il transito estremamente ancora più pericoloso. Furono inviate lettere di protesta al comune, raccolsero piu di 700 firme con una petizione e scrissero ai giornali locali. Il tragico incidente di mia figlia confermò le loro rimostranze, ma… non servì a nulla: i lavori proseguirono.

La Procura avviò una inchiesta (senza disporre il sequestro del cantiere) e in seguito fu aperto un procedimento penale a carico della ditta che eseguiva i lavori. Gli indagati furono cinque: il titolare del cantiere, il direttore dei lavori, il responsabile del procedimento, il dirigente del settore opere pubbliche del comune di Alghero e il responsabile della sicurezza in fase di esecuzione; tutti accusati di omicidio colposo per imperizia, negligenza e imprudenza, nonché della violazione degli art. 21 comma 2 del C.d.S 30 e 34 del regolamento di esecuzione del codice della strada non ottemperando all’obbligo che imponeva loro di mantenere e rendere sicuro il transito nella

zona interessata e di effettuare le segnalazioni, sia diurne che notturne, in modo che la circolazione su di essa non risultasse intralciata o pericolosa.

Dopo quasi un anno (cioè a lavori ultimati) il tribunale nomina e invia un Consulente Tecnico a periziare la pista ciclabile, stabilire la dinamica dell’incidente e la presunta velocità condotta da mia figlia al momento dell’urto.

Sapevo che la velocità condotta di mia figlia superava certamente il limite previsto, (nessuno andava a 30km/h) quindi non pretendevo certo che la colpa di quanto accaduto fosse interamente addebitata al cantiere, mi aspettavo, comunque, che le loro responsabilità fossero riconosciute.

Ma non fu così.

Il 1 Giugno del 2012 (dopo tre anni) ci fu l’Udienza preliminare nel Tribunale di Sassari e il PM chiese per i cinque imputati una condanna a 1 anno e quattro mesi per le responsabilità a loro addebitate. Il dibattimento si svolse con rito abbreviato e durò poco più di tre quarti d’ora.

Dopo qualche giorno ci fu la sentenza: Assolti perché il fatto non sussiste!

-Mi è caduto di nuovo il mondo addosso!-

Aspetto altri tre mesi per conoscere la motivazioni del Giudice e infine leggo: “…… la velocità tenuta dal motociclo condotto dalla ragazza era nettamente superiore ai 30 km/h e quindi anche se fossero stati presenti tutti i segnali previsti dal codice della strada, l’evento si sarebbe verificato esattamente con le stesse modalità”. Assurdo!!-

Segue: “Le considerazioni del Perito, secondo cui non si spiega come mai, anche a quella velocità, la guidatrice abbia potuto perdere il controllo del mezzo, non tengono conto di alcune ipotesi quale il malore improvviso, la perdita del controllo del mezzo per inesperienza (guidava quella moto da tre anni) o un ostacolo improvviso che comunque escluderebbero responsabilità di terzi. E’ infatti una tesi solo suggestiva quella di attribuire al mero urto sul cordolo una

spiegazione naturalistica del sinistro, dato che, in assenza di testimoni, non siamo in grado di sapere quale sia stata la causa dell’urto del motociclo sul cordolo stesso”.-

Ma com’è possibile?! Che senso ha questa sentenza?!

Come può un Magistrato ammette che il cantiere era privo delle segnalazioni di sicurezza previste dalla legge e poi andare a cercare altre possibili ipotesi di causa, quali il malore o l’ostacolo improvviso (non dimostrabili) ed escludere a priori che sia stato proprio il cordolo stesso la causa dell’incidente? (unico fatto concreto). Perché ha voluto sollevare da ogni responsabilità il cantiere sostenendo addirittura che anche con le segnalazioni l’evento si sarebbe verificato lo stesso?

Come può dirlo?

Il mio avvocato mi invita a non perdere le speranze e di tenere ancora duro fino all’Appello.

Passano altri quattro mesi e nel frattempo il PM che seguiva il caso viene trasferito.

Finalmente il 30 ottobre arriva la risposta della Procura alla richiesta di impugnazione della sentenza

proposta dal mio avvocato e…. il nuovo Pubblico Ministero Rigetta l’impugnazione della sentenza sostenendo che “a suo parere la Sentenza Richiamata è assolutamente convincente, …che il cordolo in cemento non costituiva un ingombro improvviso e che la posa dei cartelli iniziali di pericolo avevano soprattutto lo scopo di non investire gli operai in movimento nella zona, non certo di avvisare della presenza di un ingombro costituito dal cantiere in giorno festivo”.

Quindi conclude: “Non si ravvisa alcun nesso causale fra lo stato del cantiere e il sinistro”.-

Sconcertante!

Tale sentenza ha suscitato l’indignazione generale di tutto il paese, i commenti e le critiche verso i magistrati si sono sprecate. Tante voci hanno cominciato a girare e da li a poco si viene a sapere che uno dei cinque imputati, per l’esattezza proprio il responsabile della sicurezza del cantiere in fase di esecuzione, è nientemeno cugino di un famoso Giudice in corsa per la carica di Presidente del tribunale di Sassari. Lo stesso tribunale.

Non so se ci sia una correlazione o sia solo un caso (come spero), ma una cosa è certa, me l’hanno ammazzata due volte, prima il cantiere e poi i Magistrati. Oltre il danno anche la beffa. Non è giusto.

Tre anni e mezzo di calvario buttati al vento, possibile che come ultima speranza mi sia rimasta solo

la giustizia Divina? Spero non sia così.

Cordiali Saluti

Cinzia Boselli